Avevo scelto la vita. Al rapitore non rimase che la morte.

3096 giorni - Natascha Kampusch, F. Gabelli

Quando si tratta di storie vere è difficile, quasi impossibile, dare un giudizio. In particolar modo se la storia racconta la tragica vicenda di una bambina rapita e tenuta segregata in una cantina. 
Natascha Kampusch, un nome che ha fatto il giro del mondo. Rapita nel 1998, all'età di 10 anni, e fuggita nel 2006, ormai diciottenne. Quattro anni dopo essersi ripresa la sua libertà, Natascha si sente finalmente pronta a parlare di quello che è successo durante quei terribili 3096 giorni di prigionia. 
Impossibile analizzare i personaggi o la trama, naturalmente. Lo stile è scorrevole, duro quando serve, ma non in modo eccessivo, come se Natascha avesse voluto mantenere le distanze durante la stesura di questo libro. Il tutto è raccontato e descritto in modo pacato, le parole sono ben calibrate e, anzi, qualche volta risulta addirittura fredda, come se fosse un'altra persona a scrivere. E tra le tante cose che l'autrice svela c'è anche il rapporto di odio e dipendenza con il sequestratore, uno degli argomenti di cui si è più parlato. 
Psicologi, polizia e spettatori l'hanno catalogata come Sindrome di Stoccolma, ma la Kampusch ha sempre smentito: l'unico modo per sopravvivere ad una prigionia del genere era cercare di convivere con il rapitore che, nel bene e nel male, è stato l'unico essere umano ad interagire con la bambina per 8 lunghi anni.

 

Questa società ha bisogno di criminali come Wolfgang Priklopil, per dare un volto al male che vi risiede e per scinderlo da se stessa. Ha bisogno delle immagini delle prigioni nelle cantine per non dover guardare alle tante case e ai giardini, dove la violenza mostra il suo volto conformista, piccolo borghese. Usa le vittime di casi spettacolari come il mio per non sentirsi responsabile delle tante vittime dei crimini di tutti i giorni che rimangono senza nome e che non vengono aiutate, neppure quando chiedono aiuto.

 

Un libro che racconta una verità angosciante, una storia di abusi e di fame, di anoressia e maltrattamenti, di reclusione. Cosa significa trascorrere 8 anni in una cella delle dimensioni di uno sgabuzzino, imprigionata sotto botole, porte di cemento e spranghe di ferro? Come reagisce la mente di una bambina? 
Natascha racconta la speranza e il dolore di questa tragica esperienza, di come ha tentato più volte il suicidio e delle piccole cose a cui ha dovuto aggrapparsi per non impazzire, per mantenere la lucidità, anche nei momenti in cui andarsene sarebbe stata una liberazione. Parole che straziano il cuore, che fanno riflettere e inorrodire.. ma che al tempo stesso fanno nascere un pensiero: la forza di volontà può fare grandi cose. 
Natascha subisce ma non si arrende, fino al giorno della fuga disperata, nell'agosto del 2006. 
Vita privata e ricerche della polizia fasulle, tutti i dettagli del caso Kampusch finalmente nero su bianco. 
Un'esperienza che fa rabbrividire, ma che ha trasformato una bambina ingenua in una donna coraggiosa che ha lottato per la sua libertà, e che non si è fatta spezzare dalla malvagità dell'uomo. 
Ci sarebbero davvero tante cose da dire, ma.. mancano le parole davanti a simili atrocità.

 

Avevo innescato una bomba. La miccia bruciava e non c'era nessuna possibilità di spegnerla. Avevo scelto la vita. 
Al rapitore non rimase che la morte.